Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Barry Levinson Sfumature e compromessi

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a cura di Andrea Olivieri
Due premi Oscar, Barry Levinson e Robin Williams, ritornano a lavorare insieme, in una commedia che sconfina nella satira politica. Tom Dobbs (Williams) un noto presentatore di un talk show politico decide di candidarsi alle elezione per il Presidente degli Stati Uniti e viene eletto.
L’uomo dell’anno - Con eleganza, equilibro e pudore, il cinema di Barry Levinson (produttivamente indipendente) tenta di recuperare immagini, sospiri, sorrisi, momenti di odio e di dolore e di gioia e di follia, concretizzati dalla messa scena di quei ricordi e condensati in pellicole dove tutto il futuro è già in tutto il passato. Frammenti agrodolci di fronte ad un mondo offuscato dalla spietato desiderio di uniformarsi a canoni stilistici indirizzati alla massa divoratrice.
La capacità di cogliere quanto cinema c’è nel proprio quotidiano, in quello di un altro. O di nessuno. Ma soprattutto osservare con gli occhi di un altro, in un continuo sguardo al 'non essere più': un fare un’immagine standone lontano, un’ipotesi paradossale in cui, senza dare al gioco la forma finale, si può essere più vicini all’ 'autorialità' (società dello spettacolo) ma costruire una 'contemplazione' visiva attraverso una visualità basata su una nostalgia cinematografica della messa in scena, in grado di fare la storia di fronte alla metamorfosi (ricordo) di un corpo che 'scompare'. Il congegno narrativo gioca intelligentemente con il sapere del pubblico: il cinema ancora una volta.
Il prezioso 'futuro' - Vivere il cinema e nient’altro che la pulsione del vedere/essere visti. Il bisogno di raccontarsi; di ricevere il proprio racconto dagli 'altri', di riflettersi, rispecchiarsi: in questo crocevia di 'sentimenti malinconici', il corpo dell’attore sta a simbolo di questa continua ricerca delle ragioni e di quei fantasmi dell’oggi tra le ombre di un passato (ricordo cinematografico) che non può essere cancellato.
Contemporaneità di sguardi - Perdere e perdonare anche la memoria che si ha di sé; è il corpo che mettiamo in gioco a riflettere sul senso di perdita (déjà vu), su quella sorta di smarrimento dei sensi, della ragione, della vista, di tutto ciò che crediamo faccia parte della nostra vita.
Questo costante richiamo di ciò che si vorrebbe dimenticare, ci spinge ad una rilettura complessiva di questo cinema, manifesto di una diffusa esigenza artistica, che funziona sia per gli autori che per i suoi interpreti. Levinson ci mette di fronte alla consapevolezza che è difficile separare se stessi dalla propria immagine e la realtà dai suoi peccati (originali): non si è mai solo colpevoli o innocenti.